"Ho sempre cercato di dare voce ai più poveri, agli sfruttati, a coloro cui è stato sottratto il diritto di vivere e di parlare. Ricordo i sorrisi dei bambini che si sentivano al centro della mia attenzione, una rarità per loro. Ricordo la loro felicità nel sentirsi riconosciuti come esseri umani in un mondo disumano e crudele."
Annalisa Carmi, meglio conosciuta come Lisetta Carmi nasce a Genova nel 1924.
Da piccola, Lisetta era una giovane pianista la cui famiglia venne perseguitata dal regime fascista. Nel 1938, a soli 14 anni, fu espulsa dalla scuola che frequentava a causa della sua appartenenza al popolo ebraico.
Nel 1943 scappò in Svizzera per sfuggire alle persecuzioni razziali, a piedi, Lisetta si trovò a valicare le Alpi; “Con una mano aiutavo mia madre, Maria Carmi Pugliese, e con l'altra tenevo i due volumi del clavicembalo ben temperato di Bach”.
In Svizzera intensifica ulteriormente lo studio del pianoforte, la sua passione per la musica si tradusse in una carriera da concertista promettente nonostante la sua naturale riluttanza ad esibirsi in pubblico.
Alla fotografia arriverà per caso: “Ero a Genova, e volevo partecipare ad una marcia in supporto dei diritti del lavoro dei portuali, ma il mio insegnante di musica me lo proibì. Mi disse che era troppo pericoloso, che avrei potuto rompermi le mani."
Gli risposi ...
“Se le mie mani sono più importanti del resto dell’umanità io da domani non suono più”.
Era il 30 giugno del 1960. Quel giorno in piazza De Ferrari dove si radunavano i portuali, fingendosi la cugina di uno di loro, partecipò in supporto dei loro diritti. I portuali erano ai tempi costretti a lavorare in condizioni proibitive e quasi inumane, ma nessuno aveva mai avuto il coraggio di documentare le loro proteste. La Carmi fu la prima a farlo, dopo aver scoperto quel giorno di avere in mano uno strumento perfetto per raccontare certe storie:
la macchina fotografica!
Comprò dei libri e andò a Berna ad imparare il mestiere direttamente da un grande dell’epoca. Il padre comprese, non solo la sua volontà ma il talento, e le regalò una Leica.
In diciotto anni documenterà la vita cercandone il senso, solo quello.
Non il successo, non i soldi. La fotografia sarà per lei solo un mezzo per accedere alla verità!
Nel 1965, un amico la invitò a festeggiare il Capodanno nel ghetto ebraico di Genova, in Via del Campo, area abitata da omosessuali e travestiti. Poco a poco riuscì a fare amicizia con alcuni membri della comunità ed iniziò a fotografarli.
Ogni ritratto era un regalo. “In quegli anni, dal 1965 al 1971, le ho osservate, protette e ammirate, ho vissuto la loro sofferenza, la violenza e la degradazione della loro vita. Volevo solo conoscerle veramente, aiutarle e amarle”.
Nel 1972 il libro fotografico I Travestiti uscì e non se ne accorse praticamente nessuno: il volume veniva venduto quasi clandestinamente dalle poche librerie che avevano avuto il coraggio di metterlo in commercio. Era considerato un libro offensivo e sconcio e molti si scagliarono contro un’opera che appariva ai loro occhi tanto scioccante.
“Non le avevo fotografate per il successo o per guadagnarci qualcosa. La pubblicazione affrontò diversi ostacoli, era considerata sconcia, ed infatti diverse librerie si rifiutarono di esporre il volume. Persino Cesare Musatti, psicanalista di fama, si rifiutò di presentarlo perché considerava i travestiti - delle persone da mettere in ospedale -”
Non mancarono però gli intellettuali decisi a supportare il lavoro della Carmi: nomi importanti come Alberto Moravia e Dacia Maraini ma soprattutto Barbara Alberti, che fu fondamentale per salvare le foto della Carmi da un perenne oblio.
La Carmi aveva raggiunto in poco più di un decennio traguardi che la maggior parte dei suoi colleghi fotografi non avrebbe mai raggiunto, eppure non si fermò: bussò alla porta di chi le parole ormai le aveva perse e non aveva più nessuna battaglia da combattere, il poeta Ezra Pound.
Era l'11 febbraio del 1966, una donna con in mano una Leica 35mm bussa alla porta di una piccola casa tra gli ulivi di Rapallo. Non apre nessuno... aspetta. La porta si apre. Esce un vecchio. Anzi non esce, resta sulla porta. Fermo. Con un braccio esile a stringere sul corpo magrissimo e malato una vestaglia consumata. Ai piedi le pantofole. Non parlerà. La donna non gli chiede e non si chiede nulla, scatta per soli 4 minuti venti fotografie.
Reduce da tredici anni di internamento in uno spaventoso manicomio criminale di Washington, detenuto per motivi politici, impazzito, Pound disse: “Non io ho scelto il silenzio, il silenzio mi ha sequestrato”.
Gli scatti, 12 scelti su 20, sono considerati tra i suoi lavori fotografici più apprezzati e delle importanti testimonianze in bianco e nero che dipingono, “la solitudine, la disperazione, l'aggressività, lo sguardo perso nell'infinito, tutto ciò che è difficile dire a parole e la drammatica grandezza del poeta”.
“Quando ho sviluppato il rullino e ho selezionato le dodici fotografie finali, ho visto in esse esattamente quello che avevo provato mentre stavo scattando. Non abbiamo incontrato il poeta, ma l'ombra di un poeta”.
Lisetta continuò a fare la fotografa e a viaggiare per il mondo - Afghanistan, America Latina, Israele, Palestina, ma anche Sicilia e Sardegna, sono solo alcuni dei paesi visitati da lei e dalla sua Leica, ma anche Cisternino, il paese pugliese che l'ha adottata e accolta con amore.
In un gigantesco deposito di rifiuti in Venezuela, ricorda: "Tutte le mattine, un’orda di persone bisognose si ritrovava a rovistare nella spazzatura, alla ricerca di qualcosa che avesse un qualche valore". Protagonisti di questi duri reportage erano quasi sempre bambini, nascosti tra fumo e fiamme, figli dimenticati di un Paese che allora era, almeno sulla carta, uno dei più ricchi del mondo.
La terza vita di Lisetta Carmi iniziò poi quando la sua esistenza si trovò a fare tappa in India. Lì capì che anche il suo intermezzo di successo come fotografa volgeva al termine: si avvicinò alla meditazione sulle vette dell’Himalaya e nel 1979 tornò in Italia per fondare un ashram a Cisternino.
Fu nel 1998 che Lisetta annunciò il suo ritiro dalla guida dell'ashram ma che comunque sarebbe stata disponibile a parlare con chiunque ne avesse avuto bisogno.
“Era giunto il momento di lavorare su me stessa. Mi sono spesso chiesta come fossi riuscita a vivere in un ambiente comunitario così impegnativo per tanto tempo ed ero alla ricerca di silenzio e solitudine”
La vita di Lisetta fu nuovamente travolta dalla musica, in una veste nuova. Con l’ex allievo Paolo Ferreri, collaborò nel Centro Studi Assenza di Milano, e sei anni dopo si svincolò anche da quel progetto per inseguire, come sempre, il sogno di una completa libertà.
“Tutto stava iniziando a ripetersi ed era giunto il momento del distacco e del silenzio”
Oggi, alla soglia dei cento anni, avvolta nel silenzio e in compagnia della solitudine, intraprende un nuovo percorso di vita...
"Adesso, ricevo e scrivo moltissime lettere, leggo molto, mangio poco, bevo solo acqua calda e mi prendo cura della casa. Non ascolto musica, mi piace il silenzio. E quando mi chiedono chi ti ha insegnato a fotografare? Rispondo la vita!"
"Perché ho solo osservato la vita, soprattutto quella degli ultimi”.
NOTA: Lisetta Carmi si è raccontata in molte interviste.
Possiamo citare una bella biografia di Giovanna Calvenzi " Le cinque vite di Lisetta Carmi" e un docufilm di Daniele Segre : " Lisetta Carmi, un’anima in cammino."
Il porto, Lo scarico dei fosfati, - Genova, 1964 © Lisetta Carmi
Ezra Pound - Rapallo 1966 © Lisetta Carmi
I travestiti - Genova, 1965-1967 © Lisetta Carmi
El Basurero - Maracaibo, Venezuela, 1967 © Lisetta Carmi
Lisetta Carmi con Babaji Hairakhan Baba - 1976
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