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File? Files? Ma che fail?


Fare fotografia con apparecchi digitali implica la produzione di files.

Banale.

La questione di per sé può rimanere tale, ovvero possiamo constatarne l'evidenza e non pensarci più.

Del resto molte delle immagini che la stragrande maggioranza delle persone produce finisce nel calderone della condivisione online che impone rapidità, immediatezza, veloce sovrapposizione di altre immagini e quindi perché dedicarci troppo (inutile) tempo?

Non lo nego, io stesso talvolta scatto col cellulare e immediatamente pubblico su Instagram, facebook, twitter e mi fermo qui, ma c'è chi va ben oltre.

Le immagini prodotte rimangono comunque sempre dei files, ma non tutti i files sono uguali.

Già solo con uno smartphone di fascia media è possibile impostare la dimensione e quindi la qualità della foto. Possiamo quindi già dedurre che più grande è il file che produciamo, più è alta la qualità della relativa immagine. La qualità, in questo caso, si trasforma in ricchezza di dettagli e di dimensione massima della visualizzazione senza deperimento.

Sicuramente a molti è successo di avere un file piccolo piccolo di una immagine e provare a vederlo in un formato almeno confrontabile con le dimensioni del monitor del computer.

Orrore! Orrore! Pixeloni, sgranature, artefatti, margini degli oggetti ritratti sempre meno precisi...

Ecco, per avere una buona visione di una buona immagine a tutto schermo non bastano i 34 K della mia foto del profilo di facebook, ad esempio. Vi autorizzo a scaricarla e a provare ad ingrandirla.

L'ideale sarebbe avere dei files sufficientemente pesanti da sopportare ingrandimenti all'infinito o quasi. Ma così rischiamo di intasare il computer di giga e giga di immagini esageratamente dimensionate rispetto all'uso che ne vogliamo fare. Ma soprattutto, se rimaniamo nell'ambito della condivisione online, rischiamo di beccarci gli insulti dei nostri amichetti di rete che non hanno minimamente intenzione di perdere tempo per far caricare 40 Mb di nostre foto. E oltre a prenderci gli insulti rischiamo di perdere la loro attenzione, visto che si stancheranno e se ne andranno in un'altra pagina web.

Non necessariamente quello che scattiamo deve andare per forza subito sul web. O meglio: a volte vorremmo pure stampare qualcosa, comporre un fotolibro, o magari lavorare il file con qualche programma di fotoritocco... Può succedere che non ci interessi l'immediatezza della condivisione "spinta" e invece si scelga una condivisione più "lenta" che ci dia la possibilità di produrre un'immagine di qualità più alta.

Per spiegarmi meglio illustro qui il mio workflow abituale quando sul lavoro realizzo immagini per me importanti (mi occupo principalmente di fotografia di interni e architettura):

1) eseguo lo scatto in raw;

2) esporto il file sul computer e lo elaboro con Photoshop;

3) produco un tiff senza compressione e un jpg già ridimensionato per l'uso web;

4) condivido il jpg su tutte le piattaforme appropriate (il mio profilo professionale su facebook, il mio sito web, sui profili Instagram, twitter, eventualmente i portali specializzati in architettura e interni come Houzz, Archilovers, Divisare...), magari incrociando pure le condivisioni.

...

Oltre al fatto che talvolta tra il primo e il secondo punto possono anche passare dei giorni, ma a volte anche pochi minuti, tutto il procedimento richiede un tempo misurabile in ore.

Un'eternità se confrontato con il processo inquadra-scatta-condividi dello smartphone.

Ovviamente per me è lavoro, per cui quasi sempre devo ottenere il massimo di qualità.

Il massimo della qualità lo ottengo iniziando a scattare in raw, ovvero l'equivalente del negativo dei tempi analogici. Potrei impostare la macchina fotografica in modo da ottenere un più leggero, agibile e veloce jpg (il formato ormai standard), ma non lo faccio perché so che una delle grosse differenze tra una foto professionale e una foto amatoriale passa attraverso il fotoritocco.

Vero è che il raw è più pesante e non è immediatamente vedibile se non con un programma apposta, ma le possibilità di lavorazione di cui dispongo processando un file raw sono smisuratamente superiori a quelle che posso utilizzare lavorando un file jpg. Infatti nel file raw si trovano molte più informazioni di quelle che si possano "vedere", per cui è possibile ad esempio ricalibrare il bilanciamento del bianco, recuperare dettagli nelle alte o nelle basse luci, variare l'esposizione molto più che con lo stringato jpg.

Terminata la lavorazione produco un pesante tiff senza compressione per l'uso stampa e un più agevole leggero jpg (opportunamente ridimensionato) da usare per il web.

Per concludere: scattare con il formato grezzo raw implica più lavoro, meno immediatezza, ma qualità finale migliore. Scattare con il formato jpg restituisce una immagine dalla resa inferiore, con limitate possibilità di modifica, ma velocemente condivisibile. Se possibile è sempre meglio scattare in raw e poi mettere in condivisione un jpg ottenuto da un passaggio di fotoritocco. Sempre che si disponga di un pc e di un software adatti: il più diffuso e completo è l'accoppiata Photoshop-Lightroom di Adobe (l'abbonamento mensile costa quanto un pizza) e padroneggiarlo non è immediato, ma non impossibile. Ma esistono anche soluzioni gratuite come l'open source Gimp

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